Dal Bengala all’Italia: la Storia che ritorna. Perché Mehdi e i nuovi servitori dello Stato ci ricordano un debito antico

La notizia di Mehdi — all'anagrafe Mehdihasan Noor — che presto indosserà l'uniforme delle forze dell'ordine italiane ha conquistato le prime pagine dei giornali. E, come prevedibile, ha anche scatenato reazioni intrise di diffidenza e razzismo. Eppure, dietro questa storia personale, dietro il volto giovane di Mehdi e dei tanti ragazzi bengalesi che seguiranno la stessa strada, esiste una verità storica profonda, che troppo spesso ignoriamo: l'Italia, già una volta, deve la sua libertà anche ai loro nonni.
 
Durante la Campagna d'Italia del 1944, mentre il nostro Paese era ridotto in macerie e oppresso dall'occupazione nazista, decine di migliaia di soldati di etnia bengalese, arruolati nell'Esercito Indiano Britannico, combatterono per liberare proprio quella terra che oggi alcuni accusano di "non appartenere" ai loro nipoti. La storia, però, racconta tutt'altro. Tra il 1943 e il 1945 oltre 50.000 soldati indiani — provenienti dalle 4ª, 8ª e 10ª Divisione di Fanteria — combatterono sul suolo italiano. Erano uomini originari di tutte le regioni dell'India Britannica: Punjab, Rajputana, Uttar Pradesh, Tamil Nadu, Assam… e sì, anche il Bengala, la regione da cui oggi provengono molti dei nuovi cittadini italiani.
 
Il loro apporto non fu secondario. Nei primi mesi del 1944, mentre le forze alleate cercavano di spezzare le formidabili difese tedesche della Linea Gustav, le divisioni indiane combatterono con un coraggio che lasciò senza parole molti comandanti occidentali. Il Monte Cassino, simbolo del martirio italiano, vide anche loro tra i protagonisti delle offensive che avrebbero aperto la strada all'avanzata verso Roma. E, liberata Roma nel giugno del 1944, non ebbero riposo: avanzarono verso nord, combattendo lungo la Linea Trasimeno, nelle colline umbre e toscane, fino all'Appennino tosco-emiliano, dove la Linea Gotica rappresentava l'ultima grande difesa nazista. In quei monti, tra pioggia, neve e un terreno ostile, migliaia di soldati indiani — tra cui numerosi bengalesi — persero la vita.
 
La presenza bengalese era particolarmente forte in unità specializzate come i "Bengal Sappers and Miners", genieri addetti alla costruzione di ponti, al disinnesco di mine, all'apertura di passaggi indispensabili per l'avanzata alleata. Molti altri prestarono servizio nel Pioneer Corps, occupandosi di logistica, rifornimenti, trasporto materiali: compiti che non finiscono nelle pagine dei libri di storia, ma che rendono possibile qualunque vittoria sul campo. Il loro valore fu tale che, durante la Campagna d'Italia, ben sei delle venti Victoria Cross — la più alta onorificenza militare britannica — furono assegnate a soldati indiani. Nessun'altra forza ebbe una proporzione simile.
 
Oggi quel sacrificio è ricordato in 40 cimiteri di guerra del Commonwealth sparsi in Italia, dove riposano oltre 5.700 soldati indiani. Ragazzi di vent'anni che morirono su una terra che non avevano mai visto, per liberare un popolo che non conoscevano. Nel 2023, a Montone, in provincia di Perugia, è stato inaugurato un memoriale dedicato al Naik Yeshwant Ghadge, uno dei decorati con la Victoria Cross. Una piccola cerimonia, ma dal significato enorme: ricordare che la libertà italiana è anche merito di uomini venuti da lontano.
 
È per questo che la storia di Mehdi non dovrebbe stupire nessuno. Quando un giovane bengalese sceglie di servire come carabiniere o poliziotto la Repubblica Italiana, non sta compiendo un gesto di estraneità, ma di continuità. Sta seguendo un solco tracciato ottant'anni fa da chi, venuto da lontano , decise di combattere per restituirle futuro e dignità all'Italia . È la storia che ritorna: uomini bengalesi che proteggono l'Italia. Prima nelle trincee del '44, oggi nelle nostre città.
 
Marco Baratto
 

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